sábado, 4 de junio de 2011

ALTRI LUOGHI, personale di Fulvio Tornese, Pechino 2011


È un viaggio quello che Fulvio Tornese percorre da sempre, fatto di lunghe fermate attraverso luoghi e suggestioni, persone e paesaggi che non scorrono via ma aprono fessure nell’anima, dalle quali fuoriescono
innumerevoli domande. Domande sullo spazio, sul perché della sua commovente perfezione, sul motivo della impossibilità a comprenderla e farla propria. E poi consapevolezza, coscienza del limite umano che si consuma nella ricerca della perfezione, senza accorgersi di essere solo parte di un universo perfetto, che
nessun uomo può creare. Divino. Un uomo comincia a vivere quando sa di non poter eguagliare la perfezione della natura, quando si scarica da questo ingombrante peso e decide di lasciarsi penetrare. Allora la natura è semplice intuizione, la fantasia la interpreta e le attribuisce significati eterni, almeno per una
singola vita. Una vita fatta di simbiosi e di ricerca, e dall’impulso di voler raccontare. Così il percorso dell’artista, iniziato ai tempi degli studi universitari, è fatto di numerose tappe, nelle quali il mondo prima, lo
spazio e gli elementi che cercano di dialogare, l’essere umano e la sua infinita combinazione di spazi interiori poi, sono al centro dell’esplorazione. Un viaggio alla ricerca di qualcosa che poi ci si dimentica mentre si cerca, catturati da altre cose, dalla vita stessa. La vita è ciò che succede mentre si perde tempo a
cercare qualcosa ha detto qualcuno. Tornese forse lo ha capito da tempo e lo ha accettato, per questo nella sua arte la ricercata tecnica pittorica si lascia possedere dal caso. È il caso del momento che determina il
soggetto della tela, perché lui racconta come meglio può ciò che sta accadendo. Tra creazione e professione,il pittore e l’architetto intrapresero un viaggio in cui realtà e arte si fondono, il lavoro e la creatività non
prescindono l’un dall’altro. La pittura diviene quindi una fuga dal grigiore della realtà verso la città ideale, in cui il cielo si colora di tinte surreali, i palazzi si srotolano come papiri e si stagliano in un incastro improbabile. Le strade non iniziano e non finiscono, non esiste spazio definito e le leggi dell’equlibrio
architettonico sono completamente dimenticate, o meglio superate, perchè non ci sono limiti alla creazione dell’ambiente urbano di Tornese, in cui il sogno e la realtà si coniugano alla pura utopia, a sussurri non uditi.
Erano i tempi delle città : strade e palazzi erano deserti, ma pian piano si insinuava un desiderio di inserire l’essere umano in quelle solitarie vie, così aeroplani le sorvolavano, come alieni in cerca di un nuovo
pianeta, migliore del proprio, chissà l’uomo stesso. E così oggi, la veduta delle tele non è più quella aerea:siamo atterrati, siamo con i piedi sul suolo delle città fantastiche ed è adesso l’elemento umano il protagonista. Dopo la ricerca di un luogo ideale, Tornese cerca oggi l’uomo ideale. O almeno cerca di
rappresentarne i limiti e le quotidiane avventure che, solitari, questi personaggi sproporzionati vivono.
Sproporzionati perché incontenibili sono i moti dell’anima di un essere umano; giganti perché sono soli e la scena viene riempita da questa solitudine, anch’essa incontenibile. “Altri luoghi” cercano questi goffi e a
volte tristi personaggi, cercando di acquisire esperienza dentro i labirinti in cui Tornese si diverte a farli smarrire. "Non mi muovo" dice uno di loro, cercando di rimanere ancorato con i piedi per terra, mentre viene trascinato via dal muoversi degli eventi; è Dubbioso un altro mentre cerca, stando in piedi in un punto alto, forse la strada giusta, mentre una notte buia e tempestosa gli pesa sulla testa; si aggira tra Tempeste passate un uomo solitario come volesse mimetizzarsi tra quei palazzi che un tempo sono stati il centro del mondo di
Tornese. E poi le emozioni e le passioni: Ramon punta la pistola contro uno spaventato cuore con le ali, in una scena quasi poliziesca dato l’impermeabile girgio del personaggio e la macchina stile anni ’50 che fugge
via dalla scena, di cui si intravede solo il posteriore. L’atmosfera è quasi sempre tempestosa e grigia, quasi a voler testimoniare uno stato di passaggio, in cui le emozioni sono ancora confuse e chiuse in quelle nuvole che ancora non liberano la pioggia, che spesso lava via tutte le incertezze. Probabilmente nella prossima fase
ci sarà il sole, per il momento è notte, il pittore non è ancora pronto a schiudere il nucleo delle idee che sono alla base di questa produzione. Lo dimostra molto bene la tela che si intitola Lo stato delle cose: qui il
personaggio si è fermato. Con il gesto tipico di chi osserva e allo stesso tempo pensa, appoggia una mano contro la parete e attende. Fuori il cielo è grigio e le nuvole sono rosse. In fondo l’uomo rappresentato nelle tele è un alter ego dell’artista, Un eroe del nostro tempo che cerca di barcamenarsi in un mare in tempesta,appoggiando tutto il proprio peso su un appoggio esile e molto fragile.
Per questo è un eroe, perché non è la base su cui appoggia il proprio peso a salvargli la vita, ma la sua determinazione e la volontà di raggiungere
la fine della tempesta.

In questo le opere della produzione che dà vita ad “Altri luoghi” sono un racconto di attuale e vivida sofferenza dell’essere umano, il quale si aggira in questo mondo che ormai ha modificato oltre i limiti dell’impossibile e che adesso dovrà fare i conti con sé stesso e la propria natura, prima di doverli fare con la natura stessa dell’universo, che non potrà rimanere inerme vittima per sempre e prima o poi dovrà anch’essa far sentire la propria forza e la propria indignazione verso questo essere che si sente tanto grande ma che in realtà è solo un puntino in balìa di forze superiori. Le stesse emozioni lo governano, lui che ha un corpo tanto grande e un cervello che lo distingue da tutto il regno animale, eppure così debole e vittima di sé stesso.
A volte ispira quasi compassione, così grande e grosso e così inesorabilmente solo.

È il destino dell’uomo, ma forse, come quella del pittore, è solo una fase.