miércoles, 10 de junio de 2009

Mostra di Joan Miró, dal 27 giugno, castello di Otranto

Castello aragonese di Otranto, dal 27 giugno al 27 settembre


Antico e moderno, atmosfere medievali e surrealistiche in un incontro improbabile ma possibile, all’interno del Castello Aragonese di Otranto che si propone come contenitore culturale a livello internazionale. Sembra infatti che d’ora in avanti il borgo antico non avrà nulla da invidiare alle grandi capitali italiane dell’arte, grazie alla nuova gestione dell’A.T.I. costituita dalla Società cooperativa Sistema Museo di Perugia e dall’Agenzia di Comunicazione Orione di Maglie. Una piccola rivoluzione che si inaugura con un artista che firmò, a sua volta, una svolta nell’arte contemporanea quando, distaccandosi dall’espressionismo cominciò a sentire la voce di Dada prima e del Surrealismo poi: si tratta di Joan Mirò, uno dei grandi maestri spagnoli che in quell’epoca arricchivano la compagine culturale europea, testimoni di una realtà variegata e complicata, finestre di luce sulle guerre e su una borghesia sterile e agonizzante. Erano i tempi degli avanguardisti, quando gli eredi dei dadaisti firmarono il primo Manifesto della nuova corrente surrealistica capeggiata da Brèton. L’arte era profondamente influenzata dalla letteratura e dal metodo freudiano, ovvero si faceva mezzo attraverso il quale esternare l’inconscio e liberarsi dall’autocontrollo dettato da logica e senso comune. La potenza visionaria delle immagini è l’unico elemento comune di questa corrente che vede alternarsi personalità differenti, ognuna con il proprio punto di vista e con la propria originalità. Mirò impensabilmente era un semplice studente di materie tecniche, per volere del padre il quale desiderava che nella sua vita diventasse “qualcuno”, un desiderio esaudito anche oltre le aspettative. Il giovane Joan mostrò precocemente un interesse per l’arte talmente forte da convincere persino il padre e la sua mentalità pragmatica e realistica, quando si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Barcellona, dove venne a contatto con le ultime tecniche artistiche e le tendenze europee. I suoi tre amori furono il subconscio, il lato infantile dell’essere umano e il suo paese. Partendo da un’iniziale tendenza verso le correnti fauviste, cubiste e espressioniste, attraversa una fase naïf visibile ne La masìa, una splendida opera inaugurale che fu acquistata dall’acuto scrittore Ernest Hemingway dopo essere stata disprezzata dal gallerista del grande Pablo Picasso che fu, peraltro, un suo grande amico e ammiratore. Alla volta di Parigi il suo interesse per il lato onirico si sviluppa, incorporando lo stile surrealista, fino a più tardi realizzare il suo più grande desiderio, ovvero quello di “assassinare e violentare” la pittura, a favore di una forma espressiva che fosse totalmente indipendente da qualunque compromesso con le correnti contemporanee. Naturalmente Mirò non era solo un pittore, ma anche scultore e ceramista, in entrambi i campi ad altissimi livelli espressivi. Intensa fu anche la sua produzione di litografie, una tecnica dalla quale restò profondamente affascinato e che è al centro della mostra all’interno del castello aragonese. Come prima di lui Goya e Lautrec, l’interesse per la litografia era chiaramente legato alla versatilità della tecnica e alla passione per la sperimentazione. Negli ultimi anni della sua vita Mirò viaggiò a New York e per un tempo lavorò all’interno dell’Atelier 17 di Hayter, dove potè approfondire le sue conoscenze della calcografia; proprio in questi mesi realizzò le litografie per Le Desesperanto, uno dei tre volumi dell’opera L’Antitête di Tristan Tzara, poeta rumeno che fu uno dei fondatori del movimento dadaista. In seguito il poeta compone l’opera Parler seul, durante la degenza nell’ospedale psichiatrico di Saint-Alban e Mirò fu l’autore delle settantadue litografie a colori che decoravano il libro dall’omonimo titolo. Da questa fortunata esperienza cominciarono le sue diverse collaborazioni con gli amici poeti, come lo stesso Breton. Un’altra serie in mostra è quella dal titolo Ubu Roi, ispirata all’opera teatrale omonima di Alfred Jarray del 1986, in cui Ubu è un personaggio che rappresenta una esasperazione comi-tragica dell’essere umano dominato dalle passioni piuttosto che dalla ragione. La “Patafisica” a sua volta aveva ispirato Jarray, ovvero la “scienza delle soluzioni immaginarie e delle leggi che regolano le eccezioni”. Idee fondamentali di questa filosofia erano la libertà e la creatività ma soprattutto l’ironia, concetti che influenzarono le avanguardie del ‘900.

(Alessandra Del Vecchio)

1 comentario:

  1. Spero di essere nel Salento il prossimo week end così da potermi godere la mostra di Mirò nel suggestivo castello di Otranto. Penso sia un'occasione rara avere un tale evento a pochi km da casa. Pertanto non perdetela! Saluti, Ainda

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